Il Paese ha bisogno dei cattolici. La ricostruzione civile e morale non sarà possibile senza un loro diverso e rinnovato impegno politico. E senza un dialogo più stretto, fuori dagli schemi storici, con gli eredi delle tradizioni liberale e riformista. Se n'è discusso molto in questi giorni e il Corriere ha ospitato opinioni di orientamento differente stimolate da un articolo di Ernesto Galli della Loggia. Non si tratta di ricostituire il partito dei cattolici, né di far rivivere, sotto altre forme, la Democrazia cristiana, o il Partito popolare, al di là dell'attualità del pensiero di don Sturzo. L'idea del partito unico è stata seppellita con la Prima Repubblica. E non se ne sente la necessità, nonostante qualche fondata nostalgia per la difesa dello Stato laico e delle sue istituzioni che appariva più convinta ed efficace quando vi era un forte partito di diretta ispirazione cristiana. La cosiddetta Seconda Repubblica è apparsa fin da subito affollata di atei devoti e politici senza scrupoli, ai quali le gerarchie ecclesiastiche hanno talvolta frettolosamente concesso ampie aperture di credito.
Nel nostro sofferto bipolarismo, al contrario, testimonianze cattoliche più autentiche sono state ridotte alla pura sussistenza o, come ha scritto Dario Antiseri, alla scomoda condizione di ascari. La diaspora ha trasmesso ai cattolici la falsa sensazione di contare di più. Come oggetti, però. Promesse generose (si pensi solo alla tutela economica della famiglia) mai mantenute. Impegni solenni, e discutibili, sulla bioetica, subito derubricati nell'agenda politica, e dunque ritenuti solo a parole irrinunciabili. Nella triste époque , come la chiama Andrea Riccardi, il ruolo dei cattolici in politica è finito per essere quello degli ostaggi corteggiati a destra e degli invisibili tollerati a sinistra. Condizione che ha impoverito la politica e immiserito una società scivolata nell'egoismo e nella perdita di un comune sentimento civile.
Nel nostro sofferto bipolarismo, al contrario, testimonianze cattoliche più autentiche sono state ridotte alla pura sussistenza o, come ha scritto Dario Antiseri, alla scomoda condizione di ascari. La diaspora ha trasmesso ai cattolici la falsa sensazione di contare di più. Come oggetti, però. Promesse generose (si pensi solo alla tutela economica della famiglia) mai mantenute. Impegni solenni, e discutibili, sulla bioetica, subito derubricati nell'agenda politica, e dunque ritenuti solo a parole irrinunciabili. Nella triste époque , come la chiama Andrea Riccardi, il ruolo dei cattolici in politica è finito per essere quello degli ostaggi corteggiati a destra e degli invisibili tollerati a sinistra. Condizione che ha impoverito la politica e immiserito una società scivolata nell'egoismo e nella perdita di un comune sentimento civile.
Nell'immaginario collettivo del pur variegato mondo cattolico si è poi creata una frattura tra chi poteva trattare con lo Stato la difesa dei valori e dei principi, e chi ha cercato di ritrovare i segni dell'essere cristiani nella pratica di tutti i giorni. I primi hanno chiuso troppi occhi su modelli di vita e di società non proprio evangelici e mostrato una tendenza al compromesso eccessivamente secolarizzata. Gli altri, i cittadini e i fedeli, si sono sentiti non di rado smarriti. Non hanno perso la speranza solo grazie a uno straordinario tessuto di parrocchie, comunità, reti di volontariato, cui tutti noi italiani, credenti o no, dobbiamo un sentito grazie.
Angelo Bagnasco, il presidente della Conferenza episcopale, ha parlato della necessità di creare un «nuovo soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». L'incontro di oggi a Todi, al quale partecipa lo stesso Bagnasco, forse ne svelerà la forma. Non sarà un partito, dunque, e non è nemmeno necessario che il forum delle associazioni cattoliche del lavoro si ponga il problema di quale veste assumere. Sono stati troppi in questi anni i contenitori senza contenuti.
Che cosa potrebbero fare allora questo forum e altre aggregazioni già in movimento dell'universo cattolico? Sarebbe sufficiente che si ponessero obiettivi assai semplici seppur ambiziosi: ravvivare lo spirito comunitario, la voglia di partecipazione e gettare un seme di impegno per gli altri. «Né indignati, né rassegnati», ha detto Bagnasco: è uno slogan efficace. Nel saggio Geografia dell'Italia cattolica , Roberto Cartocci scrive che «la tradizione cattolica appare come il collante più antico, il tratto più solido di continuità fra le diverse componenti del Paese». Non solo: è portatrice di una cultura inclusiva, che non divide e frantuma la società. Ha il senso del limite all'azione della politica e della presenza dello Stato nella vita dei privati. Sono qualità importanti. Apprezzate da tutti. Anche da noi laici.
Quel che resta, non poco, di quella tradizione ha il compito storico di promuovere un dialogo più proficuo con le altre componenti laiche, liberali e riformiste della società. L'indispensabile opera di pacificazione del dopo Berlusconi passa necessariamente dalla affermazione della centralità della persona e dalla riscoperta delle virtù civili. I cattolici possono intestarsi una nuova missione, esserne protagonisti. Dire quale idea dell'Italia hanno in mente. Riscoprire un tratto più marcatamente conciliare dopo l'era combattiva e di palazzo di Ruini. Una missione sociale, in questi anni, poco valorizzata, mentre si è insistito tanto sulla difesa dei valori cosiddetti non negoziabili, dal diritto alla vita alle questioni bioetiche, al punto di estendere l'incomunicabilità con le posizioni laiche all'insieme delle questioni civili ed economiche. Un dialogo va ripreso su basi differenti, nel rispetto delle libertà di coscienza.
La collocazione politica dei cattolici costituisce un problema secondario, per certi versi irrilevante. Galli della Loggia ha scritto che il centro non è il luogo del loro destino genetico, e tantomeno la sinistra. De Rita si è chiesto chi potrebbe essere il nuovo federatore di tante anime sparse disordinatamente. La politica verrà. Per ora possiamo dire che sarebbe un imperdonabile errore se lo slancio partecipativo dei cattolici, palpabile nel fermento di molte associazioni e componenti, si esaurisse in una sterile discussione di schieramento. Quello che ci si aspetta da loro è un contributo decisivo nella formazione di una classe dirigente di qualità che persegua l'interesse comune. Un esempio di etica pubblica da trasmettere ai giovani frastornati e delusi da una stagione di scialo economico e morale. La costruzione di un futuro che coniughi solidarietà e competitività. L'idea dell'impegno, del sacrificio e dello studio come assi portanti della società. Un maggior rispetto per le istituzioni, a cominciare naturalmente dalla famiglia, sopraffatte da un individualismo dilagante e cinico. Quel cinismo «che va a nozze con l'opportunismo», come ha scritto bene sull' Avvenire di ieri Francesco D'Agostino. I cattolici promuovano un dialogo senza pregiudizi con gli altri, come è accaduto nei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il loro apporto sarà decisivo nella misura in cui saranno se stessi, senza mimetizzarsi e perdersi in altre case apparentemente ospitali. Possono essere maggioranza nel dibattito delle idee, pur restando minoranza nel Paese.
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