“A oculta maravilha da vida interior”

Até agora não tinhas compreendido a mensagem que nós, os cristãos, trazemos aos outros homens: a oculta maravilha da vida interior. Que mundo novo lhes estás pondo diante dos olhos! (Sulco, 654)

Quantas coisas novas descobriste! No entanto, às vezes és um ingénuo, e pensas que já viste tudo, que já sabes tudo... Depois, tocas com as tuas mãos a riqueza única e insondável dos tesouros do Senhor, que sempre te mostrará "coisas novas" se tu responderes com amor e delicadeza; e então compreendes que estás no princípio do caminho, porque a santidade consiste na identificação com Deus, com este nosso Deus, que é infinito, inesgotável! (Sulco, 655)

Deixemos de enganar-nos: Deus não é uma sombra, um ser longínquo, que nos cria e depois nos abandona; não é um amo que vai e depois não volta. Ainda que não o percebamos com os nossos sentidos, a sua existência é muito mais verdadeira que a de todas as realidades que tocamos e vemos. Deus está aqui connosco, presente, vivo! Vê-nos, ouve-nos, dirige-nos, e contempla as nossas menores acções, as nossas intenções mais ocultas.

Acreditamos nisto... mas vivemos como se Deus não existisse! Porque não temos para Ele um pensamento sequer, nem uma palavra; porque não Lhe obedecemos, nem procuramos dominar as nossas paixões; porque não Lhe manifestamos amor, nem O desagravamos...

Havemos de continuar a viver com uma fé morta? (Sulco, 658)

São Josemaría Escrivá

"Porta fidei" (Porta da fé) o nome da Carta Apostólica em que Bento XVI promulga o "Ano da Fé" (texto integral)

“A porta da fé, que introduz na vida de comunhão com Deus e permite a entrada na sua Igreja, está sempre aberta para nós.” Estas as primeiras palavras da Carta Apostólica em que Bento XVI proclama o Ano da Fé, a celebrar a partir de Outubro de 2012, indicando as motivações, finalidades e linhas orientadoras desta iniciativa que assinalará os cinquenta anos do início do Concílio Ecuménico Vaticano II. Esta Carta Apostólica sob forma de Motu Proprio tem como nome, das primeiras duas palavras do texto original latino, “Porta fidei”, “a porta da fé”, alusão à passagem do livro dos Actos dos Apóstolos onde se refere que Paulo e Barnabé, na sua ação evangelizadora anunciavam “o que Deus tinha feito com eles e como tinha aberto aos pagãos a porta da fé”.


Eis o texto integral do documento do Papa (clique s.f.f. abaixo para aceder):

La missione dei cattolici (Editorial 'CORRIERE DELLA SERA'' de hoje)

Il Paese ha bisogno dei cattolici. La ricostruzione civile e morale non sarà possibile senza un loro diverso e rinnovato impegno politico. E senza un dialogo più stretto, fuori dagli schemi storici, con gli eredi delle tradizioni liberale e riformista. Se n'è discusso molto in questi giorni e il Corriere ha ospitato opinioni di orientamento differente stimolate da un articolo di Ernesto Galli della Loggia. Non si tratta di ricostituire il partito dei cattolici, né di far rivivere, sotto altre forme, la Democrazia cristiana, o il Partito popolare, al di là dell'attualità del pensiero di don Sturzo. L'idea del partito unico è stata seppellita con la Prima Repubblica. E non se ne sente la necessità, nonostante qualche fondata nostalgia per la difesa dello Stato laico e delle sue istituzioni che appariva più convinta ed efficace quando vi era un forte partito di diretta ispirazione cristiana. La cosiddetta Seconda Repubblica è apparsa fin da subito affollata di atei devoti e politici senza scrupoli, ai quali le gerarchie ecclesiastiche hanno talvolta frettolosamente concesso ampie aperture di credito.

Nel nostro sofferto bipolarismo, al contrario, testimonianze cattoliche
 più autentiche sono state ridotte alla pura sussistenza o, come ha scritto Dario Antiseri, alla scomoda condizione di ascari. La diaspora ha trasmesso ai cattolici la falsa sensazione di contare di più. Come oggetti, però. Promesse generose (si pensi solo alla tutela economica della famiglia) mai mantenute. Impegni solenni, e discutibili, sulla bioetica, subito derubricati nell'agenda politica, e dunque ritenuti solo a parole irrinunciabili. Nella triste époque , come la chiama Andrea Riccardi, il ruolo dei cattolici in politica è finito per essere quello degli ostaggi corteggiati a destra e degli invisibili tollerati a sinistra. Condizione che ha impoverito la politica e immiserito una società scivolata nell'egoismo e nella perdita di un comune sentimento civile.

Nell'immaginario collettivo del pur variegato mondo cattolico si è poi creata una frattura tra chi poteva trattare con lo Stato la difesa dei valori e dei principi, e chi ha cercato di ritrovare i segni dell'essere cristiani nella pratica di tutti i giorni. I primi hanno chiuso troppi occhi su modelli di vita e di società non proprio evangelici e mostrato una tendenza al compromesso eccessivamente secolarizzata. Gli altri, i cittadini e i fedeli, si sono sentiti non di rado smarriti. Non hanno perso la speranza solo grazie a uno straordinario tessuto di parrocchie, comunità, reti di volontariato, cui tutti noi italiani, credenti o no, dobbiamo un sentito grazie.

Angelo Bagnasco, il presidente della Conferenza episcopale, ha parlato della necessità di creare un «nuovo soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». L'incontro di oggi a Todi, al quale partecipa lo stesso Bagnasco, forse ne svelerà la forma. Non sarà un partito, dunque, e non è nemmeno necessario che il forum delle associazioni cattoliche del lavoro si ponga il problema di quale veste assumere. Sono stati troppi in questi anni i contenitori senza contenuti.

Che cosa potrebbero fare allora questo forum e altre aggregazioni già in movimento dell'universo cattolico? Sarebbe sufficiente che si ponessero obiettivi assai semplici seppur ambiziosi: ravvivare lo spirito comunitario, la voglia di partecipazione e gettare un seme di impegno per gli altri. «Né indignati, né rassegnati», ha detto Bagnasco: è uno slogan efficace. Nel saggio Geografia dell'Italia cattolica , Roberto Cartocci scrive che «la tradizione cattolica appare come il collante più antico, il tratto più solido di continuità fra le diverse componenti del Paese». Non solo: è portatrice di una cultura inclusiva, che non divide e frantuma la società. Ha il senso del limite all'azione della politica e della presenza dello Stato nella vita dei privati. Sono qualità importanti. Apprezzate da tutti. Anche da noi laici.

Quel che resta, non poco, di quella tradizione ha il compito storico di promuovere un dialogo più proficuo con le altre componenti laiche, liberali e riformiste della società. L'indispensabile opera di pacificazione del dopo Berlusconi passa necessariamente dalla affermazione della centralità della persona e dalla riscoperta delle virtù civili. I cattolici possono intestarsi una nuova missione, esserne protagonisti. Dire quale idea dell'Italia hanno in mente. Riscoprire un tratto più marcatamente conciliare dopo l'era combattiva e di palazzo di Ruini. Una missione sociale, in questi anni, poco valorizzata, mentre si è insistito tanto sulla difesa dei valori cosiddetti non negoziabili, dal diritto alla vita alle questioni bioetiche, al punto di estendere l'incomunicabilità con le posizioni laiche all'insieme delle questioni civili ed economiche. Un dialogo va ripreso su basi differenti, nel rispetto delle libertà di coscienza.

La collocazione politica dei cattolici costituisce un problema secondario, per certi versi irrilevante. Galli della Loggia ha scritto che il centro non è il luogo del loro destino genetico, e tantomeno la sinistra. De Rita si è chiesto chi potrebbe essere il nuovo federatore di tante anime sparse disordinatamente. La politica verrà. Per ora possiamo dire che sarebbe un imperdonabile errore se lo slancio partecipativo dei cattolici, palpabile nel fermento di molte associazioni e componenti, si esaurisse in una sterile discussione di schieramento. Quello che ci si aspetta da loro è un contributo decisivo nella formazione di una classe dirigente di qualità che persegua l'interesse comune. Un esempio di etica pubblica da trasmettere ai giovani frastornati e delusi da una stagione di scialo economico e morale. La costruzione di un futuro che coniughi solidarietà e competitività. L'idea dell'impegno, del sacrificio e dello studio come assi portanti della società. Un maggior rispetto per le istituzioni, a cominciare naturalmente dalla famiglia, sopraffatte da un individualismo dilagante e cinico. Quel cinismo «che va a nozze con l'opportunismo», come ha scritto bene sull' Avvenire di ieri Francesco D'Agostino. I cattolici promuovano un dialogo senza pregiudizi con gli altri, come è accaduto nei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il loro apporto sarà decisivo nella misura in cui saranno se stessi, senza mimetizzarsi e perdersi in altre case apparentemente ospitali. Possono essere maggioranza nel dibattito delle idee, pur restando minoranza nel Paese. 

Ferruccio de Bortoli 
17 ottobre 2011 09:09

Não têm visto o filme?

Certos comentários à economia portuguesa parecem de quem perdeu um episódio de uma série e esqueceu a sequência.

As medidas do Orçamento são duras, corajosas, indispensáveis. Mas não resolvem nada. Não se recordam da última emergência orçamental em 2005? Aí também se diminui o défice. Quatro anos depois, tudo estava pior porque a estrutura dos gastos permaneceu. Descer salários e pensões não é dieta, é vestir uma cinta. Subir impostos é usar roupas largas. A gordura fica na mesma. O Governo tem razão na emergência, mas o que conta são as medidas estruturais. O resto não é austeridade. É aperto.

Hoje, muitos dizem que não temos ministro da Economia porque não apresenta propostas para dinamizar o crescimento. Já se esqueceram do episódio em que o FMI propôs a desvalorização fiscal, descendo a TSU, precisamente para promover as empresas? Que é que toda a gente disse na altura? Que não era boa ideia! Claro que não! Acham que na situação em que estamos há boas ideias para dinamizar a economia? Após anos de disparates que aumentaram custos, prejudicaram competitividade e estrangularam empresas como pode haver boas ideias de crescimento? Haver más já é excelente.

Numa situação desesperada, em que se tem de tratar com urgência da dívida com enxurradas de políticas contraccionistas, e não há tempo, meios ou folga para pensar no progresso, só existem duas hipóteses. Ou se tenta meter no meio da enxurrada uma tímida medida expansionista, necessariamente frágil, deficiente, talvez inútil, ou se desiste de crescer nos próximos anos e seja o que Deus quiser. O que não se pode é fingir que afinal somos a Alemanha é impor exigências e esquisitices nas poucas propostas que nos restam.

O problema da descida da TSU não era a sua eficácia, mas ir contra todos os instintos políticos viscerais. Descer impostos é como cortar o fígado! Então fez-se um estudo a fingir, com valores que tinham de dar mal, para se embolsar o dinheiro da taxa. A escolha é admissível, mas se num episódio se destrói a única ideia que há, não vale no seguinte ficar ofendido por não haver ideias! Decidimos de vez esquecer a política de desenvolvimento. Porque alterar a taxa de câmbio ou social única é política. Mexer no horário de trabalho é gestão de empresas.

Pior para o crescimento do que a falta de políticas é a falta de crédito bancário. Hoje toda a gente critica os bancos. Isso é normal e saudável e acontece em todos os episódios, séries e temporadas. Os bancos sabem que vão sempre ficar mal e não se importam, porque o põem na conta. O que é estranho desta vez é criticar os bancos por não darem crédito às empresas.
Os bancos só ganham dinheiro a dar crédito. O crédito interno total tem subido todos os meses, e até mais que a inflação. É verdade as empresas estão a ser estranguladas por falta de liquidez, mas isso não é porque os bancos não queiram dar crédito.

Então já se esqueceram daquela parte em que o Governo, em finais do ano passado e princípios deste, fingia que estava tudo bem e não era precisa ajuda, enquanto impingia dívida pública a todo o passante incauto? Não se lembram que até o Qatar e a China tiveram o privilégio de levar um bocadinho? É verdade que o filme não mostrou, mas acreditam mesmo que se começou pelos trópicos, ou se foi lá só depois de empanturrar a banca portuguesa com esse lixo? Ainda hoje as empresas produtivas não têm crédito porque Estado e empresas públicas levam o que há e o que não há. Não é que os bancos estejam inocentes, mas a gente conhece o filme.
É verdade que no Orçamento o Governo diz querer reduzir a despesa. Mas o Estado é muito mais que o Governo, e o sector público muito mais que o Estado. Os sucessivos PEC falharam todos. Num episódio anterior até nos confessaram não saber a quantos funcionários têm pago.

O cartaz à porta, como sempre, diz: "Austeridade". Em anos anteriores, esse musical acabou sempre substituído pela velha tragicomédia a preto e branco: "Finjo que corto, enquanto pagas o que já gastei" ou, na versão inglesa, "The sting".

João César das Neves in DN online

"Não sei quando me irão enforcar, mas irei sem medo" - Asia Bibi em carta ao marido e filhos da prisão

«Meu querido Ashiq, meus queridos filhos

«É uma grande provação, esta que tereis de enfrentar. Esta manhã, fui condenada à morte. Confesso-vos que, quando ouvi o veredicto, chorei, mas no fundo não fiquei surpreendida. Não estava à espera de clemência nem de coragem por parte dos juizes, que se submeteram às pressões dos mulás e do fanatismo religioso.

«Desde que voltei à minha cela e sei que vou morrer, todos os meus pensamentos vão para ti, meu Ashiqe para vós, meus filhos adorados.

«Censuro-me por vos deixar sozinhos em pleno turbilhão. A ti, Imram, meu filho mais velho de dezoito anos,  desejo-te que encontres uma boa esposa e que a faças feliz tal como o teu pai me fez a mim.

Tu, Nasima, minha filha maior de vinte e dois anos, já encontraste um marido, a família dele e uns sogros acolhedores; dá ao teu pai os netos que irás criar na caridade cristã como nós sempre fizemos.

Tu, minha doce Isha, tens quinze anos, mas nasceste com falta de entendimento. O papá e eu sempre te considerámos uma dádiva de Deus, tão boa que és e tão generosa. Não deves perceber porque é que a mamã não está aí, ao pé de ti, mas estás presente no meu coração, tens sempre lá um lugar especialmente reservado, somente para ti.

Sidra, tens apenas treze anos e eu sei que, desde que estou na prisão, és tu que tratas das coisas da casa, és tu que tomas conta de Isha, a tua irmã, que tanto precisa de ser ajudada. Censuro-me por obrigar-te a uma vida de adulta, tu que és tão pequena e que ainda devias brincar com bonecas.

Tu, minha pequena Isham, tens apenas nove anos e já vais perder a tua mamã. Meu Deus, como a vida é injusta! Mas visto que irás continuar a frequentar a escola, estarás mais tarde habilitada a defender-te perante a injustiça dos homens.

«Meus filhos não percais a coragem, nem a fé em Jesus Cristo. Há-de haver dias melhores nas vossas vidas, e, lá no alto, quando eu estiver nos braços do Senhor, continuarei a velar por vós. Mas, por favor, peço-vos a todos os cinco que sejais prudentes, que não façais nada que possa ultrajar os muçulmanos ou as normas deste país. Minhas filhas, gostaria muito que tivésseis a sorte de encontrar um marido como o vosso pai.

«Ashiq, amei-te desde o primeiro dia, e os vinte anos que passámos juntos são a prova disso mesmo. Nunca deixei de agradecer aos céus a sorte de te ter encontrado, de ter tido a possibilidade de casar por amor e não um matrimónio combinado, como acontece na nossa região. Os nossos dois feitios sempre combinaram um com o outro, mas o destino estava à nossa espera, implacável... Criaturas infames atravessam-se no nosso caminho. Estás agora sozinho perante o fruto do nosso amor, mas deves manter a coragem e o orgulho da nossa família.

«Meus filhos, desde que estou encerrada nesta prisão, oiço as descrições de outras mulheres para quem a vida também se mostrou muito cruel. Posso dizer-vos que tivestes a sorte de conhecer a vossa mãe, a alegria de viver do nosso amor e da nossa coragem para trabalhar. Sempre tivemos o supremo desejo, o pai e eu, de sermos felizes e de vos fazermos felizes, embora a vida não fosse fácil todos os dias.

Somos cristãos e somos pobres, mas a nossa família é uma grande riqueza. Gostaria tanto de vos ver crescer, educar-vos e fazer de vós pessoas honestas – mas sê-lo-eis certamente!

«Sabeis a razão por que vou morrer e espero que não me censureis por partir assim tão depressa, porque estou inocente e não fiz nada daquilo que me acusam.

«Tu sabes que é verdade, Ashiq, tal como sabes que sou incapazde violência e de crueldade. Às vezes, porém, sou teimosa.

«Por aquilo que calculo, não vai demorar muito. Em poucos minutos, fui condenada à morte. Não sei ainda quando me irão enforcar, mas podeis estar tranquilos, meus amores, irei de cabeça levantada, sem medo, porque serei acompanhada por Nosso Senhor e pela Santa Virgem Maria, que vão receber-me nos seus braços. Meu bom marido, continua a educar os nossos filhos como eu gostaria de fazer contigo.

«Ashiq, meus filhos bem-amados, vou deixar-vos para sempre, mas amar-vos-ei eternamente.»

Fonte: "Blasfémia", Asia Bibi, Aletheia, p. 54



(Agradecimento 'É o Carteiro!')

Há cinco e bons anos o Senhor pegou-me pela mão e mostrou-me um dos Seus bons Caminhos

Guiado pelo Espírito Santo pedi ajuda, por e-mail imaginem, ao Opus Dei, para me reencaminhar, me ajudar a reaprender a fé, retomar actos de devoção e gratidão, combater a soberba, ser um transmissor da esperança, amar o Senhor e o próximo, enfim para lutar por ser um bom cristão.


Tendo-me declarado previamente aquilo que era e ainda sou, um pecador, receberam-me de braços abertos, com paciência, amor e foram-me guiando. 


Desde então frequento assiduamente os meios de formação que disponibilizam e só tenho que dar graças a Nosso Senhor pelo Caminho que me mostrou.


Não sou um fiel da Prelatura do Opus Dei, mas apenas alguém, como muitos outros, que usufrui dos excelentes e sólidos meios de formação que a Obra disponibiliza mensalmente a quem o desejar, e recorro com muita frequência à boa palavra e conselho dos leigos e sacerdotes fiéis do Opus Dei.


Este blogue se existe, deve-se a um sacerdote da Obra, que sem me dizer o quê, me motivou a dar mais, e mais tarde a um outro sacerdote, este quando o blogue já existia, incentivando-me a ter uma maior intervenção pessoal; jamais alguém tentou interferir nas minhas opções editoriais e as únicas correcções que têm sido feitas são ortográficas.


Aqueles de vós que acompanham o ‘Spe Deus’ há já algum tempo, sabeis bem, que tenho cometido erros, dos quais sempre que me apercebo procuro com humildade pedir perdão ao Senhor e aos visados.


O meu coração hoje está pleno de alegria e gratidão, desde logo ao Senhor, mas também aos tantos e bons amigos que Ele me ofereceu nos últimos cinco anos.


Obrigado meu Senhor e meu Deus pelas infinitas bênçãos e graças que me tens concedido ao longo da vida!


JPR


(Texto na sua essência escrito em 2009, hoje o Senhor pediu-me para lhe oferecer algo que me impossibilita de escrever um novo texto, mas todo o conteúdo continua actual. Obrigado!)


«Quantas coisas novas descobriste! No entanto, às vezes és um ingénuo, e pensas que já viste tudo, que já sabes tudo... Depois, tocas com as tuas mãos a riqueza única e insondável dos tesouros do Senhor, que sempre te mostrará "coisas novas" se tu responderes com amor e delicadeza; e então compreendes que estás no princípio do caminho, porque a santidade consiste na identificação com Deus, com este nosso Deus, que é infinito, inesgotável! »


(S. Josemaría Escrivá - Sulco, 655)



A penitência interior é uma reorientação radical de toda a vida, um regresso, uma conversão a Deus de todo o nosso coração, uma rotura com o pecado, uma aversão ao mal, com repugnância pelas más acções que cometemos. Ao mesmo tempo, implica o desejo e o propósito de mudar de vida, com a esperança da misericórdia divina e a confiança na ajuda da sua graça. Esta conversão do coração é acompanhada por uma dor e uma tristeza salutares, a que os Santos Padres chamaram 'animi cruciatus' (aflição do espírito), 'compunctio cordis' (compunção do coração) 

(Catecismo da Igreja Católica §1431)

S. Josemaría Escrivá nesta data em 1933

“Se não procuras a intimidade com Cristo na oração e no Pão, como podes dá-lo a conhecer?", escreve.


(Fonte: site de S. Josemaría Escrivá http://www.pt.josemariaescriva.info/)

Do Catecismo da Igreja Católica (CIC)

§1760. O acto moralmente bom pressupõe, em simultâneo, a bondade do objecto, da finalidade e das circunstâncias.

§1761. Há comportamentos concretos pelos quais é sempre errado optar, porque a sua escolha inclui uma desordem da vontade, isto é, um mal moral. Não é permitido fazer o mal para que dele resulte um bem.

Santo Inácio de Antioquia

Santo Inácio de Antioquia, conforme historiadores, viveu por volta do segundo século. Coração ardente (o nome Inácio deriva de ignis = fogo ), ele é lembrado sobretudo pelas expressões de intenso amor a Cristo. A cidade da Síria, Antioquia, terceira em ordem de grandeza do vasto império romano, teve como primeiro bispo o apóstolo Pedro, ao qual sucederam Evódio e em seguida Inácio, o Teófolo, o que traz Deus, como ele mesmo gostava de ser chamado. Pesquisadores indicam que Inácio de Antioquia conheceu pessoalmente os apóstolos Pedro e Paulo.


Por volta do ano 110, foi preso vítima da perseguição de Trajano. Nessa viagem de Antioquia a Roma para onde ia como prisioneiro, o santo bispo escreveu sete cartas, dirigidas a várias Igrejas e a São Policarpo. Tais cartas constituem preciosos documentos sobre a Igreja primitiva, seus fundamentos teológicos, sua constituição hierárquica... Trazido acorrentado para Roma, onde terminou os seus dias na arena, devorado pelas feras selvagens, tornou-se objeto de afectuosas atenções da parte das várias comunidades cristãs nas cidades por onde passou. A ânsia de alcançar Deus, de encontrar Cristo, expressa com intensidade que faz lembrar São Paulo.


As suas palavras inflamadas de amor a Cristo e à Igreja ficaram na lembrança de todas as gerações futuras. "Deixem-me ser a comida das feras, pelas quais me será dado saborear Deus. Eu sou o trigo de Deus. Tenho de ser triturado pelos dentes das feras, para tornar-me pão puro de Cristo."


" Onde está o Bispo, aí está a comunidade, assim como onde está Cristo Jesus aí está a Igreja Católica", foi escrito na carta endereçada ao então jovem bispo de Esmirna, São Policarpo. Os cristãos de Antioquia veneravam, desde a antiguidade, o seu sepulcro nas portas da cidade e já no século IV celebravam a sua memória a 17 de Outubro, dia adoptado agora também pelo novo calendário.


(Fonte: Evangelho Quotidiano)

Amontoar para si próprio ou ser rico com os olhos postos em Deus?

«Que hei-de fazer? Vou aumentar os meus celeiros!» Porque eram as terras deste homem tão produtivas, se ele fazia tão mau uso da sua riqueza? É para mais intensamente se ver a manifestação da imensa bondade de um Deus que estende a Sua graça a todos, «pois Ele faz que o sol se levante sobre os bons e os maus e faz cair a chuva sobre os justos e os pecadores» (Mt 5,45). [...] Eram estes os benefícios de Deus para com este rico: uma terra fecunda, um clima temperado, abundantes colheitas, bois para o trabalho, e tudo o que assegurasse a prosperidade. E ele, que dava em troca? Mau humor, taciturnidade e egoísmo. Era assim que agradecia ao seu benfeitor.


Esquecia que pertencemos todos à mesma natureza humana; não pensou que devia distribuir o que lhe sobrava aos pobres; não fez nenhum caso destes mandamentos divinos: «não negues um benefício a quem precisa dele, se estiver nas tuas mãos concedê-lo» (Prov 3,27), «não se afastem de ti a bondade e a fidelidade» (3,3), «partilha o teu pão com quem tem fome» (Is 58,7). Todos os profetas, todos os sábios lhe gritavam estes preceitos, mas ele fazia ouvidos de mercador. Os seus celeiros rachavam, muito pequenos para o trigo que lá se acumulava, mas o seu coração não estava satisfeito. [...] Ele não queria desfazer-se de nada, mesmo não chegando a armazenar tudo. Este problema incomodava-o: «Que hei-de fazer?» perguntava constantemente. Quem não teria piedade de um homem assim obcecado? A abundância tornava-o infeliz [...]; lamentava-se tal e qual como os indigentes: «Que hei-de fazer? Como hei-de alimentar-me, vestir-me?» [....]


Observa, homem, quem foi que te cumulou de dons. Reflecte um pouco sobre ti próprio: Quem és tu? O que é que te foi confiado? De quem recebeste esse encargo? Porque fostes tu o escolhido? Tu és servo do bom Deus; tu estás encarregado dos teus companheiros de serviço. [... «Que hei-de fazer?» A resposta é simples: «Saciarei os famintos, convidarei os pobres. [...] Vós todos a quem falta o pão, vinde possuir os dons concedidos por Deus, que jorram como que de uma fonte».


S. Basílio (cerca 330-379), monge e bispo em Capadócia, doutor da Igreja
Catequese 31


(Fonte: Evangelho Quotidiano)

O Evangelho do dia 17 de Outubro de 2011

Então disse-Lhe alguém da multidão: «Mestre, diz a meu irmão que me dê a minha parte da herança». Jesus respondeu-lhe: «Meu amigo, quem Me constituiu juiz ou árbitro entre vós?». Depois disse-lhes: «Guardai-vos cuidadosamente de toda a avareza, porque a vida de cada um, ainda que esteja na abundância, não depende dos bens que possui». Sobre isto propôs-lhes esta parábola: «Os campos de um homem rico tinham dado abundantes frutos. Ele andava a discorrer consigo: Que farei, pois não tenho onde recolher os meus frutos? Depois disse: Farei isto: Demolirei os meus celeiros, fá-los-ei maiores e neles recolherei o meu trigo e os meus bens, e direi à minha alma: Ó alma, tu tens muitos bens em depósito para largos anos; descansa, come, bebe, regala-te. Mas Deus disse-lhe: Néscio, esta noite virão demandar-te a tua alma; e as coisas que juntaste, para quem serão? Assim é o que entesoura para si e não é rico perante Deus».


Lc 12, 13-21